Quello che è mancato


L’offensiva turca su Afrin è entrata in una nuova fase. Dopo più di un mese di offensiva le forze dell’esercito turco e le bande di mercenari al loro seguito, che a giudicare dalle statistiche giocano nel ruolo di carne di macello per evitare che l’opinione pubblica turca cominci a mal digerire la guerra vedendo troppi soldati morti, sono riuscite a penetrare in pieno centro cittadino. Le forze delle SDF si sono tatticamente ritirate nei quartieri periferici, con l’obbiettivo di evitare una strage, e ora si apre una nuova fase fatta di guerriglia. Mentre scriviamo queste righe giunge la notizia, da verificare, che un sabotaggio ha distrutto o pesantemente danneggiato le salmerie e gli arsenali turchi nella città. Nel frattempo continua la guerra interna in Turchia, con Erdogan che dichiara che chi si oppone all’intervento militare è un terrorista.

Ma non è di cronaca che tocca parlare. Il punto è: come è che quello che è una delle più importanti e interessanti esperienze della contemporaneità, pur con tutte le proprie contraddizioni, sta rischiando di essere stritolata sotto i carri armati di Ankara?

A nostro parere emergono abbastanza chiaramente una serie di fattori:

  1. Il fenomeno ISIS oltre a servire propriamente come momentaneo cuscinetto negli attriti interimperialistici ha avuto il fondamentale ruolo di andare a legare il più possibile il più importante soggetto autonomo dello scenario, il progetto di Confederalismo Democratico in Rojava, alle dinamiche del campo di forze imperialista. Per sostenere lo sforzo bellico contro le bande genocide dello Stato Islamico il PYD si è trovato obtorto collo a doversi rivolgere alternativamente a Russia e USA, concedendo a questi ultimi l’uso di basi in Rojava.

  2. Questo stesso fenomeno ha reso più difficile la lotta contro il regime di Assad. Si può tranquillamente affermare che l’ISIS è stato il miglior nemico per Damasco. Ha costretto la comunità internazionale ad abbassare i toni contro l’infame regime degli Assad e ha rafforzato la già ambigua relazione tra PYD e governo siriano.

  3. Ciò che è maggiormente mancato è stato il radicamento sul lungo periodo del movimento di classe e antimilitarista in Turchia. Il radicamento di queste forze avrebbe portato da un lato a più miti consigli il governo dell’AKP, o nelle migliori delle ipotesi lo avrebbe rovesciato, e al contempo avrebbe permesso, o costretto, il PYD a muoversi in una prospettiva maggiormente internazionalista e di classe.

  4. Stessa osservazione la si può fare per quanto riguarda l’Iran. L’insurrezione di fine 2017 è stata duramente repressa e non è riuscita a inficiare gli sforzi imperialistici della borghesia persiana.

  5. Parimenti le primavere arabe, che pure avevano fatto prendere un grosso spavento alle classi dirigenti delle petromonarchie che, ricordiamo, sono in competizione tra loro, hanno esaurito oramai da anni la loro forza propulsiva. Anche qui il fenomeno ipermoderno dell’ISIS e dei suoi epigoni di tutto l’islam politico ha giocato un ruolo fondamentale nel deviare verso soluzioni reazionarie i movimenti sociali.

  6. Sempre la medesima osservazione si applica per i paesi del blocco atlantico in cui la sostanziale mancanza di mobilitazioni in tal senso, nell’ultimo decennio, ha facilitato i compiti alle borghesie statunitensi ed europee.

  7. Per quanto concerne la Russia la situazione pare ancora peggiore: nulla si muove che lo Zar non voglia. Ma la storia è sempre pronta a sorprenderci.

La dirigenza del PYD non è priva di responsabilità, ma si è trovata nella situazione di dover difendere le comunque importanti conquiste sociali da un attacco altrimenti letale, facendolo per altro con un costo altissimo in termini umani. Se è quindi necessario criticare gli errori commessi da chi si è ritrovato nel progetto del Confederalismo Democratico, e criticare anche questo concetto in sé, non bisogna dimenticare che tale progetto ha permesso oggettive conquiste sociali e che il soddisfacimento dei bisogni materiali immediati, e il conservare la propria vita rientra tra questi, non possono accettare il continuo rimando dell’azione basato su un’attesa semi-messianica dello scatto di un qualche meccanismo ad orologeria di cui i sacerdoti dell’azione rivoluzionaria sarebbero gli unici fini intenditori.

L’imponente sommovimento del 2014 in Bakur, e non solo, ha ben dimostrato che fermare i piani di guerra è possibile: il piano neo-ottomano di espansione a sud subì un pesante rallentamento, da cui non è affatto detto che si sia realmente ripreso, grazie alle mobilitazione popolare in cui gli anarchici furono, con altri, protagonisti ben presenti.

lorcon

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